Rocky

Un film di John G. Avildsen. Con Sylvester StalloneTalia ShireBurt YoungCarl WeathersBurgess Meredith

 Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 119 min. - USA 1976.MYMONETRO Rocky

 

Philadelphia, 1975. Rocky Balboa è un bullo di periferia, quasi trentenne, con sangue italiano nelle vene. Con pochi amici e una vita scombinata in uno squallido buco metropolitano per emarginati, Rocky racimola qualche soldo come scagnozzo esattore di uno strozzino e gareggiando in alcuni incontri di pugilato per dilettanti. I pugni sono tutto quel che ha: la boxe è la sua grande passione, ma non è mai riuscito a sfondare, o almeno a provarci. Innamorato della timidissima Adriana, Rocky prova a scalfire le barriere della ragazza con battute da sbruffone, ma la reputazione di fallito lo perseguita. Grazie a un colpo di fortuna, ha finalmente la possibilità di dimostrare ad Adriana, e soprattutto a se stesso, di valere. Il campione del mondo dei pesi massimi, Apollo Creed, si ritrova senza sfidante, per un infortunio, in un match organizzato per festeggiare il bicentenario degli Stati Uniti d'America, nel quale il campione metterà in palio il titolo mondiale. Affamato di popolarità e denaro, Apollo Creed decide di concedere per la prima volta l'opportunità di una ribalta così prestigiosa a un pugile sconosciuto. La scelta ricade su Rocky, lo "stallone italiano". 
La parabola di Rocky Balboa, che affronta la vita a muso duro e a pugni tesi, dentro e fuori dal ring, è l'emblema di un'America mitologica. Una terra di opportunità a disposizione di chiunque sia animato da buon cuore, sani principi e un'indomabile forza di volontà. Proprio come quella del testardo Rocky, interessato non tanto alla vittoria, alla fama o ai 150.000 dollari messi a disposizione dello sfidante, che comunque gli cambierebbero la vita. Ciò che conta davvero per Rocky è resistere, resistere a oltranza, a testa alta, per dimostrare alla sua amata e a se stesso di essere un uomo. Negli Stati Uniti dell'"American dream" tutto è possibile, a patto di cogliere le sfide con coraggio e non arretrare di fronte alle proprie paure. Una mitologia alimentata da tanto cinema a stelle e strisce, ma qui talmente ben confezionata da assurgere allo status di cult. Le ragioni essenziali di tanto successo (dodici nomination e tre premi Oscar per la migliore regia, il miglior film e il miglior montaggio, oltre che la genesi di una saga amatissima dal pubblico), per un film che è costato 1 milione di dollari e ne ha incassati 225, vanno ricercate nel carattere esemplare della storia raccontata, in grado di dare il via a un filone di film sportivi - spesso incentrati sulla boxe - dove a contare non è tanto lo sport in sé, quanto i nobili sentimenti che esso suscita in eroi dal volto ordinario, con esempi che si susseguono con successo fino ai giorni nostri (Warrior). 
Di certo Rocky, diretto con professionalità da John G. Avildsen, è molto più favolistico, e anche meno riuscito dal punto di vista squisitamente cinematografico, di altri film che hanno cavalcato le fortune del genere (pensiamo a Toro scatenato di Martin Scorsese o ai più recenti Million Dollar Baby e The Wrestler). Ma fa perfettamente leva sul meccanismo di identificazione tra pubblico e protagonista. È impossibile non fare il tifo per questo perdente che lotta in un mondo di perdenti, tutti ottimamente caratterizzati, dalla dolce e introversa Adriana di Talia Shire al rude allenatore fallito di Burgess Meredith, passando per l'irascibile e goffo amico (Burt Young) col miraggio della malavita. È in questo universo di sbandati di periferia dai sogni mancati che Rocky - interpretato da un convincente Sylvester Stallone - coglie l'occasione della vita e, con la disciplina di un duro allenamento, riscatta con lo sport le frustrazioni, le delusioni e i fallimenti di un intero nucleo sociale. 
Come non commuoversi, allora, di fronte alla storia di questo simpatico sbruffone dal cuore tenero, eroe qualunque che tutti vorremmo essere? Una storia simile a quella del suo interprete, un italoamericano di umili origini che non riusciva ad affermarsi nel cinema, prima di sfondare le porte chiuse di Hollywood scrivendo la sceneggiatura di questo film. Un successo calcolato, si potrebbe pensare. Ma, in verità, la favola di Rocky mantiene intatto, dall'inizio alla fine, quel sapore di fresca e onesta spontaneità che non la riduce a mera operazione commerciale e ne nobilita il risultato, facendone un trionfo di sentimenti molto hollywoodiano, certo, ma anche decisamente emozionante (soprattutto in alcune sequenze, come l'allenamento in esterni e l'avvio del match, con Apollo Creed che richiama la mitologia dello "Zio Sam"). E le emozioni, non dimentichiamolo, sono alla base del cinema e della vita.

 

TRAILER  -  www.youtube.com/watch?v=YgmK7110jYU